Perchè Musica delle Sfere?

Devo all'affascinante teoria pitagorica l'ispirazione del titolo di questo blog. Secondo il filosofo di Samo, il movimento dei corpi celesti è regolato da leggi geometriche, risultando perciò armonico e perfetto. Muovendosi, gli astri emettono una musica sublime e celestiale, definita "armonia delle sfere", che l'orecchio umano non può percepire a causa dell'assuefazione, un fenomeno psicologico che rende inavvertito alla coscienza un suono continuo. Il richiamo alla sapienza antica vuole essere il punto di partenza di un diario online che propone una riflessione, e se vorrete un dibattito costruttivo, su eventi significativi per il percorso storico e umano. La mia ambizione è mettere a disposizione uno spazio dove ogni fatto che ci riguardi possa essere analizzato sotto la lente delle scienze dell'uomo.



sabato 17 marzo 2012

L'INVINCIBILE PERPLESSITA' DELLA NOSTRA EPOCA

Sappiamo pensare in modo oggettivo e incondizionato oppure il nostro pensiero è un prodotto sociale? Come operiamo mentalmente quando ci formiamo idee sul mondo circostante? Risentiamo del contesto oppure siamo obiettivi? I nostri processi mentali sono soggetti a distorsioni? Uno dei settori più fecondi della psicologia sociale è lo studio della conoscenza della realtà sociale che include tre filoni di ricerca: la social cognition, le rappresentazioni sociali, le attribuzioni. La social cogniton è l’attività mentale con cui elaboriamo i dati dell’esperienza formandoci la nostra visione della realtà sociale. Essa è però soggetta  a biases (distorsioni), dovuti alla struttura complessa dei processi cognitivi umani e alle influenze sociali. La causa di biases più rilevante è l’euristica cognitiva, una scorciatoia che utilizziamo al fine di rendere più semplice la risoluzione dei problemi. Gli input che dobbiamo elaborare sono molteplici e siamo costretti a prendere posizione in tempi rapidi, ci affidiamo così  a tali espedienti per trarre conclusioni senza effettuare analisi approfondite.  Tra le euristiche più utilizzate: l’euristica della disponibilità, per cui non si prendono in esame tutti i dati ma solo quelli disponibili, più facilmente accessibili (ad esempio, si ritiene che l’aereo sia più pericoloso della macchina, perché le stragi aeree hanno una maggiore risonanza mediatica e restano più facilmente impresse), l’euristica della disponibilità, per cui non consideriamo la realtà così com’è ma utilizziamo lo schema mentale che ci siamo formati (ad esempio, conta molto più il prototipo del professore o del medico che abbiamo in mente piuttosto che i dati effettivi su come di fatto sono professori e medici), l’euristica dell’ancoraggio o della perpetuazione, per cui una volta che ci siamo fatti un’idea o un’opinione su un fatto tendiamo a conservarla, anche a dispetto delle nuove informazioni.
Per comprendere la realtà non ci affidiamo solo all’esperienza ma ci serviamo anche delle rappresentazioni sociali, che sono versioni di senso comune maturate in ambiti specifici, sono concezioni a metà strada tra le posizioni individuali (opinioni, atteggiamenti) e le concezioni specialistiche elaborate in ambito scientifico, religioso, ideologico.
Le attribuzioni, invece, sono i ragionamenti con cui ci spieghiamo i fatti che accadono, ascrivendo a dei bersagli diversi attributi. Fritz Heider, uno dei principali studiosi di psicologia sociale del dopoguerra, ha distinto tra attribuzioni causali interne (riferite al soggetto agente, alle sue capacità, impegno) e attribuzioni esterne (riferite all’ambiente, alle circostanze, alla sorte). L’errore chiave, tipico di noi occidentali è di dare più importanza agli errori individuali che a quelli ambientali. Quando dobbiamo spiegare le nostre azioni preferiamo le attribuzioni esterne, per le azioni altrui quelle interne (effetto sé-altro). Per cui se non riusciamo in qualcosa tendiamo a ricercare la causa in fattori esterni (la sfortuna, le circostanze), se sono gli altri a fallire cerchiamo motivazioni personali (scarso impegno).

E’ dunque compito arduo pensare in modo oggettivo. Al di là dei fattori cognitivi, sociali e psichici dobbiamo tener presente che noi siamo esseri costitutivamente storici, prodotti di un’epoca e di una realtà sociale specifica. Il pensiero degli uomini è sempre in rapporto con la loro esistenza, con la specifica posizione sociale occupata, con l’atmosfera culturale in cui si è immersi. Mi viene in mente, a questo proposito, Karl Mannheim, fondatore della sociologia della conoscenza e autore della celebre Ideologia  e utopia  dove riflette sul condizionamento sociale  e storico del pensiero. La sua teoria sottolinea che a diversi gruppi sociali corrisponde un diverso modo di interpretare la realtà in virtù della propria cultura  e dei propri interessi. Così l’analisi di un determinato problema sarà sempre relativa a specifici interessi di parte. Solo gli intellettuali in quanto dotati di una maggiore istruzione possiedono più imparzialità e sono in grado di elaborare una "sintesi dinamica" tra le varie posizioni e fondare una politica scientifica. Tuttavia, neanche questi ultimi sono del tutto avulsi dal contesto sociale e possono risentire dell’insicurezza cadendo nello stato definito “invincibile perplessità”. Un concetto, a mio avviso, quantomai attuale e sintomatico della nostra stessa epoca. Alberto Izzo, nel testo su L’anomia ha ben spiegato questa condizione: “…come il contadino che finchè rimane in campagna non ha dubbi circa l’assolutezza dei modi di vita rurali, ma, entrando a contatto con una realtà urbana, non è più sicuro del vecchio stile di vita, né del nuovo e si trova spaesato, senza punti di riferimento certi, così capita all’intellettuale che conosce una pluralità di posizioni teoriche differenti e non sa scegliere. Questa è stata definita “anomia epistemologia, nel senso che il disorientamento riguarda gli stessi fondamenti della conoscenza in quanto non riportabili a un unico principio certo, ma condizionati da una pluralità di posizioni sociali tra loro in contrasto”. L’intellettuale, l’uomo di cultura, sente maggiormente l’insicurezza, il disorientamento, se volete il male sociale, perché più consapevole, in virtù delle sue conoscenze, della realtà circostante. Ma la condizione anomica, di spaesamento, tipica della nostra era, riguarda tutti, indistintamente. L’assenza di valori assoluti che possano fungere da guida per la nostra condotta e da punto di riferimento per la nostra vita ci getta in uno stato di confusione e di incertezza.

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