Mi lascia sempre più perplessa la nuova riforma del mercato del lavoro, che si appresta ad essere approvata, non senza polemiche e malumori.
Il nodo più dibattuto riguarda i licenziamenti per motivi economici, per i quali non si intende solo il caso di una comprovata crisi economica di un’azienda, ma anche motivi di gestione aziendale. Più semplicemente, se il datore di lavoro decide di sostituire il lavoro di un dipendente con uno strumento tecnologico in grado di svolgere il suo lavoro può farlo. Il governo ha assicurato che tali licenziamenti dovranno essere “fortemente motivati”. Certo. Ma, mi chiedo, chi controllerà chi? Come si può essere sicuri che il titolare di un’azienda non stia facendo i propri personali interessi o che dietro il suo licenziamento non si celi un’azione discriminatoria? Non sarà facile effettuare controlli certi e repentini, considerando il gran numero di cause di lavoro attualmente, e anche in futuro, in corso, nonché lo scarso dispiegamento di personale e risorse in questo settore, come in molti altri.
Eh, sì, ribadisco la mia idea, già espressa qualche giorno fa. E’ la classica riforma all’italiana, scopiazzata qua e là dai tanto osannati modelli tedeschi, danesi, inglesi, svedesi, americani, cui manca un attributo fondamentale che solo potrebbe garantire la riuscita del progetto e lo sblocco del mercato del lavoro: l’originalità. Ogni Paese è una realtà sociale, politica, economica e culturale a sé. Non si possono assumere dei modelli senza calarli poi nello specifico contesto di riferimento. Gettare un alieno in un habitat ostile può portare a conseguenze disastrose per l’intero sistema. Pensare e attuare un progetto di riforma intelligente significa situarlo nel suo ambiente culturale. E questo non è stato fatto.
Mi chiedo chi controllerà efficacemente i datori di lavoro? Chi ci assicura che sapranno agire in modo trasparente ed etico? Insomma, per dirla con Platone, chi custodirà i custodi? Nel sistema politico disegnato da Platone era certo che i depositari del potere avrebbero saputo gestirlo al meglio in virtù della loro natura aurea e di una formazione culturale che fin da piccoli li predisponeva a pensare al bene collettivo anziché al loro personale tornaconto. I custodi erano custodi di se stessi. Ma è chiaro che si tratta di un’utopia. Né un politico né il capo di un’azienda possono essere custodi di se stessi. E’ sempre necessario un controllo e una reciproca ed equa limitazione tra diversi poteri. Ma ora si sta affermando uno squilibrio pericoloso tra chi di potere ne ha già tanto (il datore di lavoro) e chi ne viene progressivamente e indebitamente spogliato (il lavoratore). Senza alcuna mediazione, con garanzie fittizie e spiegazioni demagogiche.
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