Voltaire diceva "il lavoro allontana tre grandi mali la noia, il vizio e il bisogno". John Lennon ha detto “lavoro è vita, lo sai, e senza quello esiste solo paura e insicurezza". E poi ancora la nostra Costituzione che così recita: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. Ne potremmo elencare un’infinità tra aforismi e citazioni e non sarebbe comunque necessario, perché tutti conosciamo l’importanza del lavoro per l’essere umano, non solo per la sopravvivenza ma anche per la funzione di utilità sociale che esso riveste. Il lavoro nobilita l’uomo, si dice. Non è mera retorica, è una verità indiscutibile e sovratemporale. Infatti, a intuire il significato del lavoro per l’identità della nostra specie fu già nel V secolo a.C. Anassagora di Clazomene, il quale vide nelle “mani” lo strumento capace di distinguere l’uomo dall’animale e nel lavoro, in generale, il mezzo capace di aguzzare le nostre abilità mentali, che altrimenti si arresterebbero ai livelli più bassi. Hegel nella Fenomenologia dello Spirito ha espresso, in modo geniale, nella figura del servo-signore l’importanza del lavoro per la coscienza umana: “Il lavoro è un appetito tenuto a freno, è un dileguare trattenuto: ovvero il lavoro forma… così, quindi, la coscienza che lavora giunge all’intuizione dell’essere indipendente come di se stesso”. E connessa all’importanza del lavoro e della dignità umana c’è poi la teoria degli alimenti di Feuerbach, di profonda rilevanza etica e politica: “I cibi si trasformano in sangue, il sangue in cuore e cervello; in materia di pensieri e sentimenti. L’alimento umano è il fondamento della cultura e del sentimento. Se volete far migliore il popolo…dategli un’alimentazione migliore. L’uomo è ciò che mangia”. E infine Marx che ha posto il lavoro alla base della storia, come creatore di civiltà e cultura, strumento di distinzione dell’uomo dalle altre specie.
Non si vuole cadere nel retorico citando questo o quell’autore, ma le riflessioni stimolano altre riflessioni, aiutano a pensare, a renderci conto della situazione reale.
E’ un po’ che circola sul web la divertente e, al contempo, amara battuta “L’Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro ma sulla ricerca del lavoro”. Forse davvero si dovrebbe cambiare il testo costituzionale, perché un Paese che non è più in grado di tener fede al suo stesso principio, a ciò che costituisce il suo valore fondante, è un Paese bugiardo, che inganna i suoi figli, che va contro la sua stessa ragion d’essere. Un Paese dove il livello di disoccupazione è così alto è un Paese fermo, morto, è uno zombie che cammina e che aspetta soltanto che ne venga decretata la morte effettiva. Perché distrugge la stessa essenza sociale dei suoi figli.
E’ un po’ che circola sul web la divertente e, al contempo, amara battuta “L’Italia non è una Repubblica fondata sul lavoro ma sulla ricerca del lavoro”. Forse davvero si dovrebbe cambiare il testo costituzionale, perché un Paese che non è più in grado di tener fede al suo stesso principio, a ciò che costituisce il suo valore fondante, è un Paese bugiardo, che inganna i suoi figli, che va contro la sua stessa ragion d’essere. Un Paese dove il livello di disoccupazione è così alto è un Paese fermo, morto, è uno zombie che cammina e che aspetta soltanto che ne venga decretata la morte effettiva. Perché distrugge la stessa essenza sociale dei suoi figli.
Mi viene in mente un saggio del sociologo Goran Therborn, professore all’università di Cambridge, intitolato “Perché alcune persone sono più disoccupate di altre?”. L'autore mette a confronto diversi modelli mondiali di disoccupazione selettiva e a proposito del caso italiano parla di disoccupazione "escludente e a carattere punitivo". “Escludente” perché colpisce soprattutto giovani e donne, “punitivo” per la quasi totale assenza di sussidi di disoccupazione. A questa analisi condotta nel 1986 vanno ovviamente aggiunti altri elementi che nella loro globalità e complessità contribuiscono a spiegare la nostra situazione. La miopia dimostrata dai vari governi, che nei decenni si sono succeduti, fino all’ultimo governo tecnico, è imbarazzante e si spiega solo considerando una strenua difesa di interessi e privilegi.
Proprio ieri c’è stato l’atteso vertice tra i segretari generali di Cgil, Cisl, Uil e Ugl e il Ministro del Lavoro Elsa Fornero. Questo in pillole ciò che è trapelato: sull'articolo18 si sta valutando la possibile applicazione del modello tedesco (il diritto al reintegro al posto di lavoro, previsto dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, dovrebbe restare solo nel caso dei licenziamenti discriminatori, mentre dovrebbe essere garantita la possibilità di licenziamento per motivi economici a livello individuale e per motivi disciplinari. In tal caso spetterebbe al giudice, così come avviene in Germania, di stabilire l'indennità risarcitoria immediata con una procedura accelerata rispetto a quella attuale in Italia e graduata in base all'anzianità di servizio del lavoratore); il contratto d'apprendistato sarà fondamentale per i giovani per entrare nel mondo del lavoro; il numero di contratti verrà probabilmente ridotto dai 46 esistenti oggi a otto; il contratto a tempo determinato costerà di più al fine di scoraggiare la precarietà; il governo è disposto a stanziare 3,8 miliardi di euro all’anno per gli ammortizzatori sociali; se si perde il posto c’è l’ASPI, assicurazione sociale per l’impiego, di cui potranno usufruire anche gli apprendisti.
Al momento restano fuori, però, dal nuovo schema di ammortizzatori sociali i cosiddetti co.co.pro e i co.co.co, lavoratori che svolgono teoricamente collaborazione esterna ma che in pratica sono dipendenti. Da sempre invisibili. Si è parlato tanto in questi giorni di disoccupazione giovanile (prendendo in considerazione la fascia di età tra i 18 e i 24 anni, talora dai 24 ai 29 anni), sicuramente un problema grande per la società, ma ancora più allarmante è che vi siano giovani-meno giovani, gli over 30, con situazioni di disoccupazioni ancora più gravi, rese peggiori, data l’età, dall’impossibilità di provvedere alla propria famiglia. Si sta perdendo di vista (e qui mi pare il minimo parlare di miopia!) una larga fetta di società, pseudo-giovane, che ha difficoltà a mantenersi, che ha perso il proprio lavoro per i tagli disposti dal governo, o che magari il lavoro non è mai riuscito a trovarlo, non certo per suo demerito. Ecco anche costoro godono dello status di invisibilità agli occhi del governo, tutto proiettato alla discussione dei termini relativi alla flessibilità in uscita e ai contratti di formazione, ovviamente più convenienti.
Adesso si guarda al modello tedesco, come qualche anno fa progettando la flessibilità lavorativa si guardava agli Stati Uniti, dimenticando che noi non siamo la Germania né tanto meno siamo l’America. La nostra cultura è, aimè, profondamente diversa, e credo sia questo il principale problema italiano, un problema che affonda le sue radici ben più in là, in una gestione del lavoro e delle risorse umane malata e viziata che non ha saputo guardare al merito individuale e alle capacità. Valgano un paio di esempi su tutti, come due gocce in un oceano sterminato. La recente inchiesta del Corriere della Sera che ha fatto luce su come tutta la famiglia del Magnifico Rettore dell'Università di Roma La Sapienza, Luigi Frati, sia stata presumibilmente "sistemata" con incarichi di prestigio nell’ateneo capitolino ha certamente suscitato scandalo e indignazione. E’ stata aperta un’indagine, ma, come è facilmente prevedibile, nessuno toglierà il posto di lavoro a questi privilegiati. Oppure mi viene in mente il servizio della trasmissione Le Iene sui dipendenti comunali di Roma che timbravano per i loro colleghi assenti o che sostavano ore e ore al bar o al mercato a fare la spesa, e come tutti sanno non sono gli unici. Anche per costoro ci sarà sicuramente un richiamo, ma non perderanno il posto di lavoro. E mi chiedo, perché in altri Paesi certa gente verrebbe licenziata seduta stante e in Italia no? Perché invece di pensare alla flessibilità in entrata e in uscita, agli ammortizzatori, non si semplifica il licenziamento per giusta causa? Se non consideriamo “giuste cause” episodi come questi, mi chiedo che concetto di giustizia abbiamo in questo Paese. Ma sono solo parole. Il fatto è che molti fannulloni continuano a scaldare le sedie dei loro uffici (nella migliore delle ipotesi) e chi merita (giovani e pseudo-giovani) si trova a casa a fare la fame. Eppure, sarebbe così semplice, licenziamento immediato per i furbi e assunzione di giovani e meno giovani meritevoli. Ovvio, ciò non risolverebbe l’intero problema disoccupazione ma premierebbe chi merita e darebbe un forte segnale di cambiamento, soprattutto nella mentalità e nella cultura. Ho riportato questi due fatti perché vicende esemplari di come funziona il nostro sistema. Un sistema malato, le cui cause, a mio avviso, sono difficilmente estirpabili, perché un’azione efficace richiederebbe un mutamento radicale di cultura. Ed è compito assai arduo, se non impossibile, cambiare l’ethos di un popolo.
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