Da sempre la coesione viene percepita come un elemento positivo all’interno di un gruppo. Un gruppo coeso è straordinariamente produttivo e in grado di affrontare le difficoltà con maggiore possibilità di successo. I singoli membri si sentono molto sicuri, hanno una forte autostima e un maggiore equilibrio, perché sanno di poter contare gli uni sugli altri e di costituire un unico organismo vivente. Non tutti sanno, però, che un elevato livello di coesione potrebbe rivelarsi controproducente e avere effetti deleteri per la stessa vita del gruppo. Si potrebbe, ad esempio, registrare un calo vertiginoso del rendimento, conseguenza psicologica di quella condizione definita “beata improduttività”: un eccessivo benessere del gruppo porta a un calo nel raggiungimento degli obiettivi perché le persone “si cullano”, per così dire, nell’idea di lavorare insieme e traggono forza dal sostenersi a vicenda.
L’effetto più pericoloso della coesione è, però, la “mentalità di gruppo”, ossia un pensiero largamente condiviso e resistente alle critiche, che si autoconvalida facendo leva sul consenso interno. Un pensiero di questo tipo perde facilmente di vista l’obiettività e può dar luogo a scelte disastrose. La storia ci regala diversi esempi di decisioni importanti, prese in ambito politico e militare, clamorosamente infelici. E’ stato Irving Janis, alla fine degli anni Sessanta, a studiare questo “effetto perverso” della coesione esaminando una serie di decisioni rivelatesi fallimentari. Famoso il caso dell’invasione della Baia dei Porci nel 1961. L’allora Presidente degli Stati Uniti John Kennedy decise, consigliato dai suoi uomini, di far sbarcare 2 000 esuli cubani anticastristi a Cuba sotto l’appoggio americano. Una decisione che a chiunque dall’esterno parve assurda e sconsiderata. L’esito negativo era insomma facilmente prevedibile anche dai meno esperti. Gli invasori, infatti, vennero catturati e uccisi.
La scelta si rivelò disastrosa nonostante fosse stata presa da persone di estrema competenza e tutt’altro che incapaci. Perché ciò accadde? Perché persone di grande intelligenza e indubbia esperienza furono vittime di un abbaglio così clamoroso? Secondo lo studio di Janis, fatale, per Kennedy e i suoi consiglieri, fu il fatto di decidere collettivamente. In un gruppo caratterizzato da un’elevata coesione è difficile che possano sorgere discussioni proprio perché i membri tendono a vedere le cose allo stesso modo e hanno un’intesa perfetta. Non c’è dunque scambio di opinioni e manca la critica, che è il sale di ogni sano confronto. Proprio l’indebolimento del senso critico portò Kennedy e i suoi uomini a perdere di vista l’obiettività e a credere eccessivamente nelle possibilità di successo di un’impresa ambiziosa.
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