Il Presidente del Consiglio Mario Monti i giorni scorsi ha infranto ogni tabù e ha parlato del capitalismo europeo e della sua crisi incombente proprio a Pechino, da sempre simbolo e culla del comunismo. “Vengono un po’ i brividi a dirlo nella scuola del partito comunista cinese, ma ormai siamo tutti liberi da pregiudizi ideologici. Credo che il sistema capitalistico abbia molti punti di vantaggio rispetto al sistema comunista ma da quando è diventato sistema dominante si è rilassato e ha visto troppo predominio del capitale e dell’impresa sul lavoro e sui poteri pubblici”. Capitalismo, discorso vecchio e pure sempre attuale. Se ne è sempre parlato, tra ideologia e scienza, utopia e realtà. Si è sempre cercato di darne una spiegazione scientifica, di individuarne le dinamiche e, soprattutto, di determinare la natura dei suoi influssi sulla vita sociale.
Il pensiero di Marx ha esercitato, senza dubbio, una profonda influenza sul modo di guardare questo fenomeno. Se lo si vuole analizzare, infatti, dal punto di vista marxista si dovrà porre l’accento sul fattore economico, come elemento esclusivo di spiegazione dell’origine e della diffusione di questo specifico evento storico. Ma diverse sono state le chiavi di lettura del capitalismo. Ad esempio, Max Weber, economista e sociologo tedesco, con i due famosi saggi del 1904 e 1905 pubblicati con il titolo L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, ne ha dato un’interpretazione diversa. A una lettura superficiale e sommaria dell’opera si potrebbe intendere che l’autore ritenga il protestantesimo, e in particolare il calvinismo, all'origine del capitalismo moderno. In realtà, Weber sottolinea più volte che un fenomeno specifico non può essere originato unicamente e direttamente da un solo fattore. La sua convinzione è che vi sia un’interdipendenza di fattori economici e culturali alla base del capitalismo che si influenzano reciprocamente. Ciò non destituisce di fondamento la concezione marxista ma ne mette in luce l’unilateralità e la parzialità. Marx, infatti, riconduceva alla distribuzione della ricchezza e della proprietà (quindi alla sola causa economica) l’origine della stratificazione sociale tipica della modernità. La stratificazione è prodotta, invece, secondo la visione weberiana, dalla normale tendenza presente in ogni individuo ad aggregarsi in gruppi separati, ad esempio vi sono persone che fanno lo stesso lavoro o coloro che condividono una passione o un hobby oppure coloro che abbracciano la stessa fede religiosa. Alla base egli individua tre fattori significativamente intrecciati tra loro: economia, potere e cultura. Gli individui cioè si riuniscono perché spinti dagli stessi interessi economici o dalla ricerca del potere oppure per un fatto culturale. Per questo Weber parla di stratificazione tripartita: stratificazione per classe sociale (ossia su base economica), per appartenenza politica (basata sul potere), e per ceto (fondata sulla cultura), che si influenzano reciprocamente, per cui l’appartenenza a un gruppo culturale può influenzare la posizione economica o viceversa. Ad esempio nell’opera L'etica protestante e lo spirito del capitalismo mette in relazione religione e capitalismo mostrando come la mentalità calvinista sia stata la pre-condizione culturale al formarsi della mentalità economica tipica del capitalismo. I protestanti calvinisti, infatti, credevano nella dottrina della predestinazione secondo la quale le opere e le azioni del fedele non garantiscono la salvezza perché solo Dio decide chi vi è destinato. Di qui lo stato di paralizzante impotenza del fedele che non può far nulla per guadagnarsi la beatitudine eterna. La reazione psicologica più comune fu, dunque, quella di impegnarsi nella ricerca del successo in terra attraverso il lavoro per dimostrare che la riuscita economica era un segno della loro predestinazione. Ciò dimostra, secondo Weber, come il fattore culturale possa determinare la condizione economica, produrre divisioni sociali e influire persino sul potere.
L’obiettivo di Weber è rilevare un’affinità profonda tra etica protestante e spirito del capitalismo e individuare l’insieme di elementi che, in virtù del loro particolare assemblaggio, hanno determinato un fenomeno storicamente specifico. Il capitalismo moderno, infatti, così come lo conosciamo, non sarebbe mai potuto sorgere in altre epoche storiche. Certo, forme capitalistiche ci sono state anche in altre società, ma questa tipologia specifica si riscontra solo nell’Occidente moderno. Tra i vari fattori che in una certa epoca storica ne hanno reso possibile la nascita troviamo: il lavoro formalmente libero, l’organizzazione razionale dell’impresa finalizzata al guadagno, la separazione dell’amministrazione domestica dall’azienda, la tenuta razionale dei libri contabili. E ovviamente anche l’incremento delle possibilità tecniche. Ma l’eccessiva enfasi su quest’ultimo aspetto finirebbe per rendere risolutiva la spiegazione marxista, cui Weber riconosce piena legittimità, ma che considera unilaterale e incompleta. E’ un complesso intreccio di fattori ad aver delineato il capitalismo come fenomeno specificamente moderno. Ma, soprattutto, il capitalismo non avrebbe mai trovato terreno fertile se non vi fossero stati dei presupposti culturali atti a renderlo fecondo. E Weber individua tali presupposti proprio nell’etica protestante e nella dottrina della predestinazione che comporta l’inutilità dell’azione umana per la conquista della grazia divina. Di qui l’importanza del lavoro e del guadagno assunto come segno distintivo dello status di prescelto. Non è un caso che Weber riporti alcune citazioni di Benjamin Franklin per sottolineare come il denaro sia assurto a simbolo della cultura capitalistica e calvinista: “Ricordati che il tempo è denaro; ricordati che il credito è denaro; ricordati che il denaro è di sua natura fecondo e produttivo; ricordati che chi paga puntualmente è padrone della borsa di ciascuno”.
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