La mente dell’uomo oscilla perennemente tra il limite e l’illimitato, tra la consapevolezza della propria finitudine e le smanie di onnipotenza. Pur avvertendo, infatti, l’esistenza di confini invalicabili che mai potrà oltrepassare, essa è portata a spingere le ali della fantasia sempre più in alto o a interrogarsi su problemi che l’umana comprensione sembra non poter abbracciare. Sì, perché il nostro intelletto è irresistibilmente attratto dall’ignoto e abbandona spesso il mondo fenomenico e limitato per spaziare verso i confini dell’assoluto e dell’incondizionato, salvo poi rendersi conto dell’impossibilità di raggiungere spiegazioni soddisfacenti.
Suggestiva la metafora costruita da Kant nella Critica della ragion pura che assimila l’intelletto umano a una colomba che si libra in volo lamentandosi però degli impedimenti dell’aria e sogna di poter volare anche senza di essa, non rendendosi conto però che l’aria costituisce sì una resistenza al suo volo ma ne è anche la condizione essenziale. Senza di essa, infatti, cadrebbe a terra. Esattamente come l’uomo ripiomba violentemente nella dura realtà quando si avventura nei meandri insolubili delle questioni metafisiche su cui la scienza può avanzare solo deboli ipotesi.
Siamo davvero condannati a urtare contro un muro insormontabile, rappresentato da quelle che Karl Jaspers chiama “situazioni limite”, oppure esiste la possibilità concreta di attingere a una conoscenza assoluta?
C'è da dire che le capacità scientifiche appaiono sconfinate. La ricerca ha fornito risposte che fino a qualche tempo fa sembravano inimmaginabili. E il progresso, in ogni campo dello scibile, è sempre più dilagante e sorprendente. Tuttavia, ci sono degli interrogativi a cui l’uomo, sin dalla sua comparsa sulla Terra, ha cercato di dare risposta, senza mai approdare a una certezza assoluta. Dubbi ancestrali che tormentano il nostro essere. Dilemmi senza fine, ermetici e insolubili. Ritorna, così, la scissione apparentemente non ricomponibile tra il mondo fenomenico, che la scienza può analizzare, e l’extrafenomenico, inconoscibile e sfuggente. E, a questo proposito, assai affascinante è la metafora kantiana che assimila la scienza alla terraferma di un’isola e l’ambizione dello scienziato di spingersi oltre l’esperibile al desiderio del navigante di andare alla ricerca infinita di nuovi mondi: “questo territorio è un’isola che la natura ha racchiuso in confini immutabili. E’ il territorio della verità (nome seducente), circondata da un ampio e tempestoso oceano, in cui ha la sua sede più propria la parvenza (l’illusione metafisica), dove innumerevoli banchi di nebbia e ghiacci creano ad ogni istante l’illusione di nuove terre e, generando sempre nuove ingannevoli speranze nel navigante che si aggira avido di nuove scoperte, lo sviano in avventurose imprese che non potrà né condurre a buon fine né abbandonare una volta per sempre”.
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