Sensazione di mistero e di
oscurità. Velo sottile ed enigmatico. Barriera di confine tra il conosciuto e
l’arcano. Da sempre la maschera ha esercitato un indubbio fascino
nell’immaginario collettivo, assurgendo sin dall’antichità a simbolo assoluto
dell’ignoto. Non a caso il suo utilizzo risale alla preistoria. Un tempo
antico, quasi impalpabile, a partire dal quale la maschera è divenuta strumento
irrinunciabile e protagonista di rituali religiosi, rappresentazioni teatrali e
infine feste popolari. Medium di comunicazione tra l’uomo e la divinità,
simbolo associato al culto degli antenati, espediente per mettersi in
contatto con entità soprannaturali. La sua straordinaria energia metaforica non
poteva non ispirare il genio umano che, sin dalle prime espressioni artistiche,
ha saputo farne uso nelle più disparate rappresentazioni.
Topos ricorrente
nell’arte, nella letteratura, nella poesia, nel cinema, nel teatro, la maschera è sempre stata
fortemente radicata nel pensiero umano, tanto che la filosofia l’ha utilizzata
come chiave per l’accesso a verità altrimenti astruse e inintelligibili.
L’esempio più suggestivo ce lo dà la riflessione filosofica di Arthur Schopenhauer.
Già il titolo della sua opera più nota, Il
mondo come volontà e rappresentazione, reca in sé forti suggestioni
metaforiche. La rappresentazione è un’allusione al palcoscenico, alla maschera,
alla finzione. “Il mondo è una mia rappresentazione: ecco una verità che vale in rapporto a ciascun essere vivente e conoscente,
anche se l’uomo soltanto è capace di accoglierla nella sua coscienza riflessa e
astratta: e quando egli fa veramente questo, la meditazione filosofica è
penetrata in lui. Diventa allora per lui chiaro e certo che egli non conosce né
il Sole, né la terra, ma sempre soltanto un occhio, che vede un Sole, una mano,
che sente una terra; che il mondo, che lo circonda, non esiste se non come
rappresentazione, vale a dire sempre e
soltanto in rapporto a un altro, a colui che lo rappresenta, il quale è lui
stesso”. Queste le parole del filosofo all’inizio del suo libro più
illustre. Una sintesi del messaggio di verità che il suo lavoro vuole svelare.
Una verità dal sapore antico, che ha attraversato l’intero cammino filosofico
fino all’epoca contemporanea: nessun uomo è in grado di uscire da se stesso e
vedere la realtà per ciò che è veramente, nella sua essenza.
Il mondo è mera
rappresentazione determinata unicamente dagli schemi mentali dell’individuo:
spazio, tempo e rapporto di causa-effetto, in modo simile all’universo
kantiano. La realtà ci appare stabile e
indipendente ma non è altro che una configurazione di rappresentazioni mentali:
“…Tutto quanto appartiene e può
appartenere al mondo ha inevitabilmente per condizione il soggetto ed esiste
solo per il soggetto. Il mondo è rappresentazione”. Il fenomeno, infatti, è,
per definizione, illusione e apparenza, è ciò che la filosofia indiana chiamava
“velo di Maya”, ossia una maschera che copre
il volto reale del mondo. Il passo che riprende dagli antichi testi dei
Veda e dei Purana è assai suggestivo: “E’
Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei mortali e fa loro vedere
un mondo del quale non può dirsi né che esista , né che non esista; perché ella
rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il
pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata
a terra che egli prende per un serpente”. Come la citazione platonica “gli uomini non vivono che in un sogno”. O
la romantica digressione shakespeariana “noi
siamo di tale stoffa, come quella di cui son fatti i sogni, e la nostra breve
vita è chiusa in un sonno”. E, infine, l’intuizione di Schopenhauer. Un
lampo geniale, un’immagine che sa di opera d’arte: il filosofo assimila le
forme a priori, mediante cui conosciamo il mondo esterno (spazio, tempo,
causalità), a dei vetri sfaccettati che deformano la nostra visione delle cose
e rendono il mondo esterno pura
fantasmagoria. Una realtà irreale, un impalpabile ossimoro che si traveste da
sogno. Così, nell’apparenza fenomenica sembra indistinguibile il sogno dalla
veglia, le illusioni oniriche dalle percezioni quotidiane: “Sarà concesso anche a me di esprimermi con una similitudine: la vita e
il sogno sono le pagine di uno stesso libro. La lettura continuata si chiama la
vita reale ma quando l’ora abituale della lettura (il giorno) è terminata e
giunge il tempo del riposo, allora noi spesso seguitiamo ancora pigramente,
senza ordine e connessione, a sfogliare ora qua ora là una pagina già letta,
ora una ancora sconosciuta, ma sempre dello stesso libro…”. Al di là della
maschera onirica, però, si nasconde la vera realtà che Schopenhauer, a
differenza di Kant, ritiene possibile raggiungere e afferrare. L’uomo, infatti,
non è solo conoscenza e intelletto, l’uomo è soprattutto “volontà di vivere”,
un impulso fortissimo che ci spinge ad agire e a esistere. E’ la radice e l’essenza
del mondo. Ecco, questa brama irresistibile fa cadere la maschera e squarcia il
“velo di Maya” che cela il luogo dell’essere autentico.
Essenza segreta del genere umano e
dell’intero universo, la volontà di vivere è la soluzione dell’enigma, la
chiave per accedere al regno dell’assoluto. Essa svela l’arcano e l’identità della
realtà. La maschera cade, il mistero si dissolve, l’universo ci mostra il suo
volto. Ecco la verità in tutta la sua pienezza, senza finzioni e artefatti.
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